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Arche délicate
La maggior parte delle cose di cui parlo in questo libro è già scomparsa o sta scomparendo in fretta. Questa non è una guida di viaggio, ma un’elegia. Une commémoration. Avete in mano una pietra tombale. Un sasso insanguinato. Non lasciatevelo cadere su un piede, lanciatelo contro un grosso oggetto di vetro. Cosa avete da perdere ?
Arche équilibrée
Pagine che sgorgano, come l’acqua che nella canyonlands è così preziosa, dall’esperienza che lo stesso Abbey fece dieci anni prima della pubblicazione (1958 – 1968) lavorando sei mesi come ranger in un parco nazionale: Arches National Monument. Espérienza mûre l’anno dopo e poi ancora a distanza di qualche altro anno.
E se non fosse chiaro già da quanto citato sopra, Abbey enuncia esplicitamente il concetto: c’è chi si sente “a casa” di qua o di là, in campagna o in città, e est oa ovest, teologi, piloti, astronauti hanno persino sentito il richiamo della casa provenire dal cielo sopra di loro, nella fredda, oscura profondità dello spazio interstellare. Per quanto riguarda Edward Abbey il più bel posto sulla terra è canyonlands: in particolare la zona intorno a Moeb, nel sudest dello Utah.
Le tre Chocolate Drops nel Maze, che all’epoca della spedizione di Abbey non avevano ancora un soprannome.
Abbaye – che poi scriverà quel divertente e piacevole manuale per l’ecoterrorista del XX secolo intitolato The Monkey Wrench Gang – Je sabote – era uno spirito ben coltivato (laurea e master in letteratura inglese e filosofia), profondamente anarchico. In quel modo come lo sono, o lo possono essere, solo i cittadini a stelle-e-strisce : insofferente a Governori, poteri, regole, limiti e confini.
Arche Double O
Dal punto di vista ambientale, era un ecologista avanguardista. Che nella difesa del territorio e della natura, poteva scivolare nel conservatorismo.
Questo bel libro est un inno alla natura selvaggia da difendere e preservare e conservare integra. È un’invettiva contro il progresso, la civiltà consumistica, il turismo industriale, contro l’uso distorto della scienza.
È anche un reportage di avventure ed escursioni, esplorazioni, incontri, cowboy e indiani.
Rivière Escalante
Solo nel silenzio, per un attimo comprendo il terrore che assale tanti quando si trovano di fronte al deserto primordiale, la paura inconscia che li costringe a domare, ad alterare o distrugger ciò che non riescono a capire, a ridurre il pre-umano e il selvaggio a dimensioni umane. Qualsiasi cosa è meglio di affrontare directement l’anti-umano, quell’ « altro mondo » che spaventa non per i suoi pericoli e per la sua ostilità, ma per qualcosa di molto peggio, per la sua implacabile indifferenza.
Arche d’horizon
Un capitolo a parte merita la musica del deserto, ispirata dal deserto, o che dia sensazioni desertiche.
Per Abbey è forse la musica di Schoenberg quella che meglio rappresenta la categoria, se così si può definirla:
la sua musica si avvicina più di qualsiasi altra che conosco a rappresentare la separazione, l’essere altro, l’estraneità del deserto. Venez certi aspetti di questa musica, anche il deserto è privo di tonalità, rawle, limpido, inumano, né classico né romantico, privo di movimento e di emozioni, contemporaneamente sia disperato che profondamente caldo.
Proprio negli anni in cui Abbey scriveva si sviluppava un filone di musica del deserto – che segna differenze da deserto a deserto – ma si può comunque riassumere con unea caratteristica che definirei psichedelica.
Nel 1970 Antonioni abbinava all’esplosione finale nel deserto californiano di Zabriskie Point l’esplosione cosmica dei Pink Floyd (la versione speciale di « Attention à cette hache, Eugene »). I deserti d’America ispiravano le sessioni senza limiti di tempo dell’allucinato Jerry Garcia e della sua band del Morto Riconoscente.
Man mano quella che negli States si definisce musica del deserto si è diretta a cercare l’effetto lisergico nelle chitarre elettriche semper più dure, martellanti (lo stoner rock).
Il deserto del Sahara genres musica diversa: si dice che il blues sia nato lì. Ma certo est un blues molto diverso da quello degli Stati Uniti del sud: meno caldo, meno emotivo, con meno movimento e meno tonalità. E su questo mi pare Abbaye avesse colto in pieno, con buon orecchio.
Per me i momenti più belli e pregnanti sono le descrizioni del paesaggio, di una bellezza che toglie il fiato (anche se Abbey direbbe che non c’è fiato da togliere): la flore e la faune, che per quanto in pieno deserto senza oasi , riescono a essere di forme e varietà e colore e consistenza e odore molteplici. Le rocce, i cieli, la sabbia, l’acqua dei fiumi e delle pozze, gli animali, quelli che camminano, quelli che srisciano o nuotano o volano.
E i momenti più belli sono quelli di immersione total nella natura primordiale del deserto. Di profonda solitudine con total appagamento dei sensi e dello spirito.
Arche de paysage
Il mezzogiorno qui è come una droga. La luce è psichedelica, l’aria secca ed elettrica fa da narcotico. Per me il deserto è stimolante, eccitante, esigente; non ho la tentazione di dormire o di rilassarmi in sogni occulti, ma mi fa l’effetto opposto, mi affila e accentua la vista, il tatto, l’udito, il gusto e l’odorato. Ciascuna pietra, ciascuna pianta, ciascun granello di sabbia esiste in se stesso e per se stesso con una chiarezza che non è diminuita da nessuna suggestione di realtà diversa. Claritas, integritas, veritas. Solo la luce del sole tiene unit le cose. Il mezzogiorno è l’ora cruciale: il deserto si mette a nudo con crultà, senza nessun significato aldilà della sua stessa esistenza.
le jardin du diable
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