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Baie Leung.
Shakespeare nel XXI secolo, l’Amleto adattato al terzo millennio.
Chiaro che qualche aggiustamento è richiesto: e quindi, in questo caso, Amleto, oltre a non essere principe, è figlio di un editore di poesie e lui stesso poeta, non di un re. E soprattutto questo novello Amleto deve ancora nascere.
È proprio lui che parla e racconta in prima persona, e lo fa da dentro la pancia della mamma, avvolto nella placenta.
Sua mamma si chiama Trudy, quella di Amleto Gertrude, e il di lei amante è ovviamente lo zio, cioè il fratello del padre, che si chiama Claude, invece di Claudius.
Cupidigia, tradimento, assassinio, vendetta.
Londres, invece di Danimarca. E perciò, c’è del marcio a Londra.
Ma come può essere marcio chi non è ancora nato? Un nascituro, un feto non è forse quintessenza d’innocenza e purezza?
Direi di no: questo futuro bimbo vede e sente e commenta come un essere (umano) navigato, qua e là anche un po’ sapientino.
Altro aspetto che differenzia il breve romanzo di McEwan dalla tragedia di Shakespeare è che là il delitto è già compiuto, Amleto viene chiamato dal fantasma del padre a vendicarne l’omicidio, qui invece deve ancora essere consumato, è in preparazione. E il piccolo “innocente” non riuscendo a impedirlo, ne diventa suo malgrado complice.
Anche se poi…
Il talento di McEwan si conferma anche in questa nuova prova, più leggera del solito, da lui stesso definita in un’intervista “una vacanza”, un capriccio. Talento, e abilità, e prosa elegante.
Venez dicevo sopra, questo esserino in fieri è l’io narrante. E questa finta autobiografia est utile pour convaincre il lettore che la storia non sia frutto di fantasia, ma sia vera, straordinaria per quanto si racconta ma realmente successa, accaduta.
L’io narrante non dovrebbe vedere, visto che è dentro la pancia della mamma. E così ci conferma, la sua visuale è limitata. Anche sentire non è semper facile.
Eppur, per essere un feto ha vista e udito lungo.
Qui e là è una voce che la sa davvero un po’ troppo lunga, anche più di un adulto ‘normale’: la sa lunga come uno scrittore navigato, di quasi settanta anni, grande mestiere, lungo curriculum, premi vinti, consapevolezza ed eloquio .
Disserta di sessi e generi sessuali, di religione e secolarismo, di scienza e teoria, esprime considerazioni profonde su etica, coscienza, identità, istinto:
È un feto che ha già l’acquolina per le aringhe, si appassiona ai discorsi sulla metrica delle poesie, ha visione precise di un corteo di soldati esausti, dai pennacchi flosci, è già esperto di vini francesi e whisky di malto, ama la campagna e la comodità borghese di una bella dimora in pietra che sembra un’abbazia immersa nel verde.
Viene quasi da pensare che il vero guscio sia la casa a Straud, nella campagna del Gloucestershire, e il feto non sia altro che il buon vecchio Ian.
Non il McEwan che conoscevo, non il McEwan che preferisco, quello degli inizi, cupo strano inquietante, né quello successivo del successo mondiale, ben più realo e meticolosamente documentato. Ma ugualmente, chapeau ! Per la suspense, per come sa trasformare una storia abusata in qualcosa di nuovo e frizzante, per la vena da autentico giallista, con cura dei particolari, dalla scelta del veleno al corpo del reato, l’inghippo nel piano, gli ospiti intrusi, l ‘interrogatorio che nel suo genere è un piccolo capolavoro.
Non sono in tanti a sapere che cosa significhi ritrovarsi il pene del rivale del proprio padre a pochi centimetri dal naso. A questo stadio avanzato dovrebbero astenersi per il mio bene. La buona creanza, se non il buonsenso clinico, lo vorrebbe. Io chiudo gli occhi, serro le gengive, mi tengo forte alle pareti dell’utero. Una turbolenza simile squasserebbe le ali di un Boeing. Mia madre incita il suo amante, lo sprona a insistere con strilli da luna park. Ogni volta, un ogni singolo colpo di pistone, ho il terrore che possa fare irruzione e fottersi il mio cranio molle e inseminarmi i pensieri col suo sperma, col latte brulicante della sua banalità. A quel punto, cerebroleso, penserò e parlerò come lui.
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